L’Italia rispetta i dettami della Ue, ma disoccupazione e debito pubblico continuano a crescere: non c’è via d’uscita.

Proprio ieri sul principale quotidiano economico francese, Les Echos, è stato pubblicato un dato allarmante: serviranno 10 anni per riassorbire, nella migliore delle ipotesi, la disoccupazione generatasi a seguito della crisi del 2008.

L’Italia versa in una situazione drammatica, con un tasso medio del 12,7% e punte che superano il 42% tra i giovani, a dispetto dei proclami del premier non eletto. Sono livelli da paese del terzo mondo, simili a quelli della Grecia e della Spagna, dove la disoccupazione è calata semplicemente perché sono stati scorporati i disoccupati di lunga data, quelli ritenuti ormai privi d’interesse a trovare un nuovo lavoro.

DISOCCUPAZIONE DEFLAZIONE 600

Il guaio è che all’orizzonte, per l’italico stivale, s’intravedono solo dense, densissime nubi tempestose. Difatti, come ben documentato da Paolo Cardenà sul suo suo blog vincitorievinti.com, nonostante la congiuntura favorevole del basso costo del petrolio e di qualche timido segno di ripresa a livello internazionale, la produzione industriale italiana di gennaio si è ulteriormente inabissata, mettendo a segno un drammatico -5,5% rispetto a gennaio 2014.

Capite, cari lettori, che se la produzione industriale non reagisce nemmeno a stimoli positivi come il calo del prezzo del petrolio e l’aumento della domanda internazionale, la situazione è semplicemente tragica, e non bastano certo gli annunci ad effetto via twitter dell’ex sindaco di Firenze per cambiare le carte in tavola. L’Italia è un paese morto, assolutamente morto, dove la produzione industriale si è decomposta e l’occupazione è ormai un miraggio irraggiungibile.

E in un contesto del genere il jobs act non serve assolutamente a nulla, anzi, può semmai provocare ulteriori danni portando a licenziare per riassumere con contratti maggiormente precari. Ovviamente, a trarne vantaggio è il sistema produttivo tedesco. Si badi bene: le industrie tedesche, non i lavoratori, che si sono visti ulteriormente diminuire i loro salari per volontà del governo, in nome della “competitività”, in una drammatica asta al ribasso dei salari che sta portando lo spettro della deflazione e della povertà in ogni angolo dell’eurozona.

Cosa sarebbe necessario fare per ridare fiato all’economia e speranza ai disoccupati?

Senza andare a scomodare Keynes, sarebbe necessario una terapia d’urto al sistema economico, con un drastico taglio delle tasse (Laffer vi dice niente?), con l’introduzione di una o al massimo due aliquote fiscali ed un serio piano di incentivi per lo sviluppo del Paese.

Se c’è una cosa di cui l’italico stivale può dirsi ricco, sono le aree su cui puntare per svecchiarlo: viabilità, messa in sicurezza dei fiumi, banda larga per i dati, valorizzazione del patrimonio artistico sono solo alcuni dei settori che potrebbero essere incentivati e che garantirebbero centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Tuttavia c’è un problema, che si chiama Ue: mai i burocrati di Bruxelles potrebbero accettare un piano simile di spesa congiunta pubblica e privata, altrimenti si troverebbero i “nein” di Merkel sbattuti sul tavolo e soprattutto una popolazione finalmente benestante e quindi in grado di ragionare con la propria testa senza lasciarsi condizionare dai pifferai magici di turno.

Eh sì, perché dove c’è il benessere e la tranquillità per il futuro c’è anche il libero pensiero; dove c’è miseria e povertà ci si lascia calpestare in cambio di un piatto di pasta. Provate ad immaginare quale dei due scenari piace di più ai tecnocrati della Ue?

Luca Campolongo (giovedì 2 aprile 2015) – Fonte.

Il contenuto di quest’articolo, pubblicato da ilnord.it – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di FARO Network, che rimane autonoma e indipendente.

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