Alla vigilia del voto sulla legge elettorale: passo… falso della Corte Costituzionale

di Luciano Barra Caracciolo – già presidente della Quinta sezione del Consiglio di stato (Orizzonte 48). Analisi della sentenza della Corte Costituzionale  su Porcellum e legittimità dell’attuale Parlamento.Alla vigilia del voto sulla legge elettorale - 550

  1. Alla vigilia del voto sulla nuova legge elettorale, facciamo un primo esame del punto 7 della sentenza n.1 del 13 gennaio 2014, che aveva dichiarato costituzionalmente illegittima la precedente legge elettorale, il c.d. porcellum.
    Il punto 7 è quello in cui sono stati definiti e delimitati gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità sui rapporti giuridici instaurati a seguito della legge censurata e, in particolare, gli effetti sulla legittimità ed operatività del parlamento – quello attualmente in carica- eletto con l’ultima applicazione di tale legge.
    Un esame di tale fondamentale punto, realmente approfondito, cioè relativo a tutte le implicazioni logiche e giuridiche delle affermazioni concretamente (e non astrattamente o presuntivamente, cioè da…dibattito televisivo) compiute dalla Corte,  è finora mancato: per lo meno ne manca una traccia a livello politico-mediatico. Il che, data la natura della legge e la sua diretta influenza sulla effettività della democrazia rappresentativa, è un fatto piuttosto singolare.

Parrebbe, cioè che una delle conseguenze fondamentali della dichiarazione della illegittimità costituzionale della legge elettorale sia stata considerata un tema “alla moda”, soggetto alla soluzione  della forza dei fatti, accumulatisi dopo la pronuncia della Corte: nell’inerzia di ogni intervento di qualunque organo di garanzia di livello costituzionale, il problema non è stato posto e risolto, se non, con una certa fretta, in termini di validazione della piena operatività delle attuali camere.
Ma questa conclusione è stata quasi immediatamente accolta senza alcuna verifica della sua coerenza con una, pur necessaria, interpretazione letterale e sistematica delle affermazioni della Corte costituzionale su questo fondamentale punto.

  1. Esaminiamo dunque tale punto 7, riportandone il testo (in corsivo) e proponendone un commento interpretativo delle varie parti del suo sviluppo:
    “È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere”.
    Contrariamente a quanto si assume come conclusione scontata, questo primo passaggio della Corte nulla ci dice sul “quando” debba svolgersi la “nuova consultazione”, espletabile con le regole elettorali di nuova o “residuale” adozione (cioè individuate dalla Corte, in un precedente passaggio, come applicabili in derivazione delle parti della legge non colpite dalla dichiarazione di illegittimità, mediante alcuni limitati interventi regolamentari).
    In nessun modo, neanche implicito, questa parte del punto 7 esprime l’idea che le camere potessero permanere in carica fino alla loro scadenza naturale.
  1. E ne abbiamo un’evidente conferma nel passaggio che ne segue:
    Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984).
    Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti.
    Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.”

Da notare che la sentenza, senza aver compiuto alcun accertamento al riguardo, – cosa che avrebbe presupposto un’istruttoria relativa agli atti di convalida degli eletti nelle due Camere, procedura, al tempo, non ancora compiuta, come evidenziato da illustri costituzionalisti-, ritiene che costituiscano un “rapporto esaurito” sia le elezioni (come fatto storico ciò sarebbe anche corretto) sia le operazioni che avevano condotto alla proclamazione degli eletti. Ma la proclamazione degli eletti, a norma dell’art.66 Cost., è soggetta a un procedimento di verifica ad opera della stessa camera di appartenenza degli eletti “proclamati” (dagli uffici elettorali, organi di amministrazione straordinaria, esterni alle Camere).
E tale procedimento di verifica, ritenuta nel suo sviluppo una “giurisdizione speciale” (“giudizio di convalida”) costituzionalmente sancita, implicava naturalmente la rinnovata applicazione della legge elettorale dichiarata illegittima anche, ed ovviamente, nelle parti interessate dalla sentenza della Corte.
Da tale insieme di rilievi, fondati sull’art.66 Cost. e sulle procedure che ne conseguono presso le rispettive camere, sorge il dubbio che la Corte abbia errato nel definire “esaurito” anche solo il mero rapporto inerente alla fattispecie della elezione dei singoli componenti, correttamente intesa.

  1. Ma anche superando questo non proprio irrilevante dettaglio, – cioè l’assimilazione a “rapporto esaurito” di una condizione di eletti solo “proclamati” ma non ancora assoggettati a quella condizione di efficacia prevista dalla Costituzione che è la verifica (della regolarità delle stesse operazioni elettorali in ciascuna circoscrizione), – ancora una volta, anche questo passaggio non è decisivo per poter sostenere una illimitata vigenza temporale delle Camere fino alla scadenza naturale della legislatura.
    Infatti, pur affermando la Corte una sorta di preventiva “conservabilità” degli atti che le Camere – elette con la legge incostituzionale- avrebbero compiuto in futuro, anche questo ulteriore passaggio nulla ci dice sul legittimo fondamento e sulla legittima durata di questa “sanatoria” preventiva (basata sul presupposto di una mera “presunzione” di esaurimento del rapporto di insediamento nella carica elettiva).
    Cioè neppure questo passaggio ci spiega quanto a lungo e, specialmente, in funzione di quali attività, le Camere elette con la legge dichiarata illegittima potevano conservare i propri poteri operativi.
    Una prima conclusione: la Corte ha inteso affermare che le Camere rimanevano operative anche per un certo periodo futuro, ma non ha legato esplicitamente tale durata alla scadenza naturale della legislatura, “come se” la dichiarazione di illegittimità costituzionale non ci fosse stata.
    Questo punto, come vedremo, non solo finisce per essere irrisolto, ma la soluzione ambguamente data dalla Corte pone più problemi di legittimità costituzionale di quanti cerchi di risolverne.
    In definitiva, si prende atto che la situazione è eccezionale, – e la Corte se ne rende conto-, ma si cerca obiettivamente di evitare di rendere completamente indifferente la funzionalità delle Camere alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della loro elezione: cioè tende in qualche modo a salvarle in quanto, pur illegittimamente elette, (violando l’art.67 Cost. il modo in cui sono risultate composte), rinviene dei motivi che renderebbero un male ipoteticamente superiore (allo stesso difetto di rappresentatività democratica) la loro cessazione immediata e l’impedimento a svolgere le loro future funzioni.
    Questa “risposta” della Corte si fonda su delle ragioni sostanziali, ncessariamente di rango costituzionale, solide e ragionevoli?
  1. Per comprendere questo aspetto dovremmo finalmente arrivare al passaggio successivo del punto 7.
    “Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.)”.
    Questo passaggio, già nella sua prima parte, risulta altamente contraddittorio e con un’evidenza che, data l’alta civiltà giuridica indubbiamente acquisita da un paese di alte tradizioni come l’Italia, non dovrebbe essere sottratta alla pubblica opinione.
    Ed infatti, è pur vero che le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non devono perdere la loro “capacità di deliberare” (ma sempre nei limiti previsti della Costituzione e che paiono dimenticati dalla Corte come vedremo), ma tale affermazione non ha nulla a che vedere con la dichiarazione di incostituzionalità della legge elettorale.
  1. Quest’ultima “dichiarazione”, infatti, fa (farebbe) venir meno una determinata composizione dell’organo legislativo, cioè una determinata individuazione di persone fisiche che ne fanno storicamente parte: ma il venir meno di “una” composizione non ha nulla a che vedere con la permanenza dell’organo (che è il vero “fatto” istituzionale tutelato implicitamente dalle norme costituzionali).
    La innegabile necessarietà costituzionale delle Camere, è del tutto evidente, sarebbe un ostacolo alla espunzione della norma che prevede la loro esistenza (in un’ipotetica riscrittura eversiva della Costituzione a seguito di un sostanziale colpo di Stato) o, anche di quella che prevede che per comporle ci sia un processo elettorale.
    Ma tale necessarietà organica (cioè di operatività delle norme su costituzione e funzionalità dell’organo) non porta a dover conservare gli effetti “soggettivi” – cioè solo contingenti e riguardanti “quegli” eletti, persone fisiche concrete- di una legge elettorale specifica.
  1. E questo travisamento di “oggetto” della continuità dello Stato, è ancor meno comprensibile proprio nel momento in cui quella composizione “soggettiva” dell’organo,  viene non solo ritenuta contraria all’art.67 Cost., ma allorchè simultaneamente, nella stessa sentenza, vengono indicate quali norme elettorali risultino comunque operative a seguito dell’intervento della Corte; cioè allorchè, all’interno della stessa pronuncia ci si preoccupa di rendere possibile la “continuità dello Stato”, correttamente intesa, con lo svolgimento di nuove elezioni e la conseguente, e certamente preferibile, individuazione di una nuova composizione delle Camere non affetta da illegittimità costituzionale.
    Insomma, il principio di continuità dello Stato indica anzitutto l’esigenza di una continuità della presenza (normativamente sancita dalla Costituzione) di una legge elettorale e di una concreta possibilità di procedere ad immediate elezioni. Questa è la parte del principio di continuità che logica, e principi giuridici in tema di organizzazione costituzionale (e pubblica in generale), indicavano come possibile ragionevole richiamo dalla Corte.
  1. Qual’è il vulnus di un’immediato ritorno a elezioni secondo regole costituzionalmente legittime che la Corte ha così tanto paventato, rispetto alla necessarietà che le Camere, come organi previsti da intatte norme costituzionali, ci siano?
    Al più la Corte poteva ravvisare, per analogia, una facoltà residua, in capo alle Camere illegittimamente composte, di individuare una nuova legge elettorale e limitare a ciò la loro residua operatività: ma anche questa opzione è particolarmente difficile da configurare, dato che una composizione degli organi legislativi viziata quanto alla “non” rappresentatività rilevata dalla stessa Corte, porterebbe di necessità a che la nuova legge fosse eventualmente votata da Camere successivamente elette in modo rispettoso della Costituzione.
    Da questo conseguirebbe che l’avvenuta individuazione delle norme elettorali immediatamente applicabili, da parte della Corte, non consentisse una legittima e ragionevole alternativa nell’adozione di una nuova legge elettorale da parte di Camere nell’attuale composizione costituzionalmente alterata (figuriamoci l’adozione di una vasta revisione costituzionale!)
    La contraddittorietà del ragionamento “conservativo” della Corte, come abbiamo visto e come vedremo, appare dunque incomprensibile sul piano dei principi costituzionali e di logica giuridica.
  1. Affermare come ha fatto la Corte, su questa scarna premessa (della continuità dello Stato), che come si dice “prova troppo”, che, “nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali”, significa confondere la continuità degli organi “essenziali” dello Stato, – che è piuttosto, nella sostanza, continuità dell’applicazione delle norme sulla costituzione dei suoi organi fondamentali (cioè proprio lo svolgimento di elezioni e con norme legittime)-, con la continuità della posizione di vantaggio acquisita dai singoli individui che compongono accidentalmente uno di tali organi.
    E’, in altri termini, come affermare che, nonostante il vizio di rappresentatività che soffre l’individuazione di “quegli” individui” (eletti con legge incostituzionale), questi e solo questi possono svolgere le funzioni che l’organo deve svolgere a norma di Costituzione! Una giustificazione ben difficile da fornire, se si guarda alla realtà che dovrebbe contraddistinguere una democrazia!
    La legge elettorale può dunque venire meno (e per ragioni gravi, cioè per contrarietà alla Costituzione), ma questo non fa venir meno nè la previsione costituzionale sulla necessaria presenza degli organi del potere legislativo, nè quella (art.61 Cost.) sulla esigenza che un regolare processo elettorale conduca, in tempi considerati sufficientemente rapidi dalla stessa Costituzione, alla loro formazione e al conseguente pieno esercizio delle loro funzioni.
  1. La patente contraddizione in cui è incorsa la Corte è, per così dire, addirittura aggravata, dalle considerazioni successive del passaggio che stiamo esaminando.
    E’ vero che la prorogatio dei poteri delle Camere è prevista dalla stessa Costituzione e che questa prorogatio è volta ad assicurare la continuità delle loro funzioni: ma questo principio posto dall’art.61, comma 2, Cost., presuppone, a norma del primo comma:
    a) che le elezioni delle nuove Camere abbiano avuto svolgimento entro 70 giorni dalla fine delle precedenti;
    b) che conseguentemente abbiano, queste nuove Camere, la possibilità di riunirsi non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni.
    In pratica, la prorogatio presuppone, e anzi impone, che senza indugio alcuno sia stato attivato il nuovo procedimento elettorale.
    La sua funzione è confermata anche dal richiamo fatto dalla Corte alla conversione dei decreti-legge, da parte della Camera “scaduta” e in prorogatio, (art.77, comma 2, ultima parte). Anche se le Camere sono “sciolte”, cioè non più in carica entro il loro termine legittimo di operatività,  possono essere chiamate a votare i decreti-legge: ma solo perchè questi corrispondono, o almeno dovrebbero secondo la Costituzione, a esigenze di legiferazione legata a “casi straordinari di necessità e urgenza”.
    Dal che si deduce, ovviamente, che ogni altra ipotesi che non sia legata a tale eccezionalissima iniziativa del governo (si noti bene) o a urgenze strettamente analoghe poste da norme costituzionali, non legittima la continuità di una certa composizione delle Camere, eccedendo ogni ipotesi di perseguimento dell’interesse generale quale inequivocabilmente enunciato nella Costituzione.
  1. E dunque, che sia per scadenza naturale o per scioglimento anticipato, la “fine” delle precedenti camere è il presupposto per la prorogatio dei poteri: cioè attiene, come è del tutto evidente, ad una fine certa e ormai proclamata di quella composizione degli organi (cioè della carica attribuita a determinati individui).
    Ma la Corte costituzionale ha proprio negato tale presupposto.
    Ha invece postulato, all’inverso, che la prorogatio sia motivo giustificativo per NON pronunciare la “fine” delle Camere (illegittimamente composte). Cioè la Corte ha fatto uso di un principio organizzativo (a giustificazione emergenziale) derivante dalla “fine” delle Camere, per affermare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge elettorale che ha individuato quei certi individui (composizione non ritenuta rispondente alla rappresentatività dovuta per Costituzione!), NON comportasse la “fine” delle camere stesse.
    E questo, poi, per legittirmarne addirittura una sorta di illimitata durata in carica (nei limiti dei tempi della legislatura), richiamando a giustificazione proprio la norma che presuppone, in senso appunto inverso, la già avvenuta cessazione delle precedenti camere (quantomeno dalla pienezza della carica svolta in via ordinaria, cioè dalla legittimazione fisiologica, secondo Costituzione e democrazia).
    Tutto il principio di prorogatio, in ogni settore del diritto pubblico,  presuppone questa irrevocabile cessazione dei componenti (persone fisiche) dell’organo (pubblico) dalla carica “ordinaria” ed il residuo ed ESCLUSIVO esercizio di funzioni urgenti e indispensabili (da ravvisare perciò con estrema cautela); dunque un esercizio di funzioni ASSOLUTAMENTE TEMPORANEO, ECCEZIONALE, E PREDERMINATO LEGALMENTE NEI TEMPI.
    In termini pratici, il principio della prorogatio addirittura spinge per il sollecito e pieno rinnovo della sua composizione mediante l’esperimento delle procedure legali a ciò volte.
    Nel caso specifico, proprio questa “inversione” di senso della prorogatio, nella forma per di più costituzionalizzata dall’art.61 Cost., fa emergere un risultato, per certi versi clamoroso: il richiamare correttamente, e non in senso invertito (e illogico) questo istituto avrebbe dovuto portare la Corte ad escludere qualsiasi esigenza di posporre la caducazione della composizione illegittima delle Camere, risultando comunque garantita, la (solo eventuale) funzionalità di emergenza del potere legislativo in caso di “fine” delle Camere, proprio dalla stessa prorogatio!

11.1 La prorogatio, com’è quindi evidente secondo un elementare buon senso, serve a garantire la continuità (soltanto) rispetto a eventi eccezionali che non tollerino la totale “vacanza” delle persone preposte all’organo, in modo che le operazioni di rinnovo possano svolgersi, “serenamente”, senza traumi per la tutela dell’interesse pubblico affidato a quell’organo.
In sostanza, si vuole proprio evitare che i tempi legali di rinnovo dell’organo, conseguenti a precise previsioni di legge su termini e modalità, possano fornire il pretesto per una ultra-attività nella carica di persone che hanno perso la loro legittimazione legale, naturalmente “a termine”, a svolgere pienamente quei compiti.

  1. In tal senso, si può dire che poichè le funzioni elettive sono sempre e comunque svolte lungo tutto un periodo di carica legalmente prestabilito, (ma  non oltre, salvo una forzatura eversiva dello stesso effetto elettorale), la validità giuridica del mandato, cioè della preposizione elettiva, non è un atto a effetto istantaneo, ma un atto di durata che si rinnova di momento in momento lungo tutto il periodo di svolgimento delle funzioni elettive.
    A rigore, è proprio il principio di prorogatio, con la sua finalità di salvaguardia di un tempestivo e regolare svolgimento del procedimento di rinnovo dei componenti dell’organo – impedendo cioè ai “vecchi” componenti di affermare la propria insostituibilità per prolungare il proprio incarico, ostacolando la propria sostituzione-, a contraddire che il rapporto instaurato a seguito dell’applicazione della legge elettorale possa mai dirsi esaurito.
    E a maggior ragione nel caso in questione, dato che il rapporto nei confronti degli elettori, e quindi quale esaminato nelle ragioni della stessa dichiarazione di incostituzionalità, attiene essenzialmente al profilo della rappresentatività nell’esercizio delle funzioni legislative!
    La rappresentatività, quale voluta dalla Costituzione, è una condizione evidentemente durevole e la sua mancanza lo è a maggior ragione.
    E infatti, è di ciò che l’opinione pubblica si lamenta, volendo scorgere un minimo di senso comune nella censura sollevata dalla “società civile”, e accolta dalla Corte, relativa alla legge elettorale.
  1. In altri termini, la “prorogatio”  è stata richiamata dalla Corte, ancora una volta anche in questo passaggio finale del punto 7, come norma di protezione della contingente composizione dell’organo, non come norma di chiusura che opera in via eccezionale dopo, e sul presupposto de, la “fine” – comunque manifestatasi secondo le norme costituzionali, quindi anche a seguito di declaratoria di illegittimità di una certa composizione soggettiva dell’organo-  della piena legittimità della composizione.
    E allora ribadiamo: quale sarebbe stato il vulnus di un’immediato ritorno a elezioni secondo regole elettorali costituzionalmente legittime, che la Corte aveva individuato, sancendo la fine della composizione delle Camere da essa dichiarata incostituzionale, potendo oltretutto ricorrersi per le “urgenze” previste dalla Costituzione al principio (costituzionale) della prorogatio (che sarebbe stato applicabile anche senza il richiamo “all’inverso” fattone dalla Corte)?
    Un interrogativo che, duole dirlo, non riesce ad avere risposta e che fa dubitare della concreta capacità della Corte di rendere coerenti le proprie decisioni con le premesse ed i principi che essa stessa richiama…
    Questo sì un vulnus per la integrità e la continuità della vita della Costituzione. 

Fonte  2 giugno 2016

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